Il nostro tempo, il tempo delle cose
Ahoy
L’altro ieri nel pomeriggio abbiamo fatto una passeggiata verso cala mancina, presa via del faro verso nord e proseguito fino alla punta appena sotto la torre della lampada abbiamo abbandonato la strada e ci siamo incamminati tra cardi e pietre lungo la spianata che guarda a ponente. Il mare ci accompagna da est lungo un orizzonte infinto lasciandoci vedere le isole Egadi per chiudersi a sud ovest dietro monte Erice.
Sono già diverse volte che veniamo qui a passeggiare e sempre mi stupisco di come l’uomo non abbia aggredito anche questo angolo di natura, ma persino il pensiero mi giunge sussurrato quasi mi spaventi che il rivelarlo ad alta voce possa far svanire quel paesaggio. Insomma marciamo immersi nella macchia, Bianca scatta foto a tutte le specie di volatili, io guardo la riva che poco a poco si chiazza di macchie colorate, ma non è uno spettacolo. A guardare bene ovunque sugli scogli si trovano detriti, li ha riportati il mare, bello penso lì per lì, chissà da dove giungono e la mia testa parte per pensieri romantici quando ad un tratto rinsavisco, mi sgancio dal mio essere uomocentrico e mi rendo conto che tutto quel materiale il mare ce lo ha risputato addosso, le onde hanno vomitato sugli scogli i veleni che l’uomo ha riversato in acqua, ma è solo una parte minore il resto soffoca e ammala i pesci e poi lo mangiamo anche noi.
Con un altro sguardo negli occhi arriviamo finalmente alla caletta, soli in un pomeriggio di maggio che pare estate, bagno e due bracciate. Bianca trova dei pesci e li guarda dalla superficie, poi il silenzio e, come solo in quei momenti accade, godiamo dell’essere animali, quindi siamo felici di essere sazi, salati al sole ed al sicuro.
Accade in quei momenti in cui nulla disturba la labile mente umana di sconvolgersi della bellezza della natura, di accettare di stare a pelle nuda sulle pietre e di ridimensionarsi perché tutto il bello intorno esiste a prescindere da noi, perché noi valiamo nulla, meno delle api, meno dei pesci o degli uccelli, a questo mondo siamo come ospiti non paganti. Allora le città, il traffico, la finanza, i computer sembrano delle cose assolutamente inutili e senza senso, le imposizioni della società umana, le convenzioni sono tutte follie che ci rendono schiavi.
Adesso è il tempo di tornare, purtroppo viviamo sul margine della società e certe cose seppure inaccettabili ci stanno attaccate come una palla al piede che non riusciamo a staccare, quindi leviamo lo sguardo dal mare, infiliamo lo zaino in spalla ma prima di incamminarmi, senza quasi pensare, prendo una busta di plastica dalla riva e la riempio di plastica che trovo a giro. Ci vogliono 5 minuti ed il grosso sacco è pieno, mille altri rifiuti ci compaiono davanti ma non sappiamo più come fare, sarà già un problema smaltire questi, dopo due giorni sono ancora nel furgone in attesa di trovare la via dell’isola ecologica dove speriamo se li prendano.
In 5 minuti abbiamo raccolto plastica che sarebbe rimasta lì per centinaia di anni, a smembrarsi in pezzi sempre più piccoli, lasciandone sul posto molta di più; ma perché mai abbiamo inventato un materiale eterno per farlo vivere come le farfalle?
Non so dare una risposta, non ho fatto parte di questo processo decisionale, ma faccio mio malgrado parte della catena di consumo che ha determinato tutto ciò, ogni giorno ognuno di noi ne fa parte.
Reagire a tutto questo è la cosa migliore che si possa fare ma necessita del nostro tempo per dare tempo alle cose, farle vivere a lungo, usarle fino al logorio, regalando al pianeta un rifiuto in meno, ogni giorno.
Fare un atto di rivoluzione ogni giorno nel nostro piccolo è anche prenderci il tempo di cura delle cose che ci portiamo dietro, come atto di amore per il mondo che abitiamo.
